Ben Kalmen (Michael Douglas) è molto più che un semplice commerciante d'auto: è ricco e famoso, ha un successo travolgente, una famiglia perfetta ed effettua pure ingenti donazioni alla comunità. Un giorno però, durante un controllo medico di routine, viene a sapere di avere problemi di salute... anzichè sottoporsi a ulteriori accertamenti inizia a evitare medici e ospedali, tradire la moglie, allontanarsi dalla famiglia e truffare i clienti, iniziando una caduta verso il basso che sembrerebbe non avere fine.
Anzichè seguire il solito cliché del percorso del protagonista dalle stalle alle stelle, o quello dalle stelle alle stalle e ritorno, il film si sofferma sulla caduta - continua e apparentemente impossibile da fermare -, con una escalation di colpi bassi compiuti sia da Ben (la cui posizione diventa via via indifendibile) sia da chiunque gli stia attorno e che non faccia parte della "vecchia" famiglia. Solamente da questa, e dall'amico di gioventù Jimmy (Danny DeVito), arriveranno delle opportunità che potrebbero permettere a Ben di tornare ad una vita decente.
Solitary man non è un film sul successo, nè sulla malattia. E neppure sulle ripercussioni che la smodata "passione" per le diciottenni potrebbe avere sulla carriera di attempati uomini d'affari (alquanto d'attualità nel nostro paese). Il tema che tratta è l'accettazione del tempo che passa, dei cambiamenti che questo comporta e delle conseguenze che potrebbero esservi nel caso non li si accetti e anzi si provi a continuare a vivere "al massimo" e nell'egoismo un'esistenza che oramai non ci si addice.
Se lo scopo della pellicola era quello di far riflettere... missione compiuta, ma i 90 minuti - che poi non sono molti, numericamente parlando - trascorrono assai pigri, in un'assenza di ritmo disarmante, nonostante il cast di prim'ordine (ben calato nella parte)... e trascorrono in un pessimismo, unito alle tensioni autodistruttive del protagonista, che potrebbe portare più di qualcuno a interrompere la visione e a cercare di corsa qualche sitcom.
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